La boxe e la mente di Valeria Imbrogno

  

"Dottore, una parte di me mi dice che io sto male e che non posso continuare così e che quando vengo qui da lei debbo raccontarle le cose che penso, ma un'altra parte di me, mi dice che io non conosco quelli che stanno male veramente".
In seduta il paziente comunicava spesso i suoi pensieri che riguardavano solo propositi di andare via, di liberarsi di quella situazione assurda dell'analisi. Finché una volta, l'analista si sentì toccato da una piccola richiesta che il paziente non si era mai lasciato sfuggire prima: "Mi stavo chiedendo perché mai una persona continui a venire in un posto da cui poi vorrebbe scappar via. E' assurdo. Mi aiuti per favore".
Il pugilato è così: è tutto all'incontrario, si fa tutto all'incontrario. Nessuna persona andrebbe incontro ad un pericolo, mentre il pugile va sempre verso i colpi dell'avversario, verso cio' che teme, ovvero verso la propria paura.
Essa appare come una questione tipicamente umana: struttura la rappresentazione che il soggetto produce di sé e, di conseguenza, del mondo che lo circonda e dei meccanismi con cui si autogestisce di fronte ad essa. E' un'emozione governata dall'istinto che ha come obiettivo la sopravvivenza dell'individuo e si scatena ogni qualvolta si presenti un possibile rischio per la propria incolumità.
Il pugilato (come la seduta di psicoterapia del nostro paziente precedente), spesso puo' aiutare a gestire e controllare tutte quelle principali reazioni istintive alla paura che possono essere: difficoltà di concentrazione, fuga, protezione istintiva del proprio corpo, ricerca di aiuto (nel caso del pugilato un autoaiuto tramite un incremento della percezione della propria forza fisica).
La paura è talvolta causa anche di alcuni fenomeni di modifica comportamentale permanenti, identificati come sindromi ansiose: ciò accade quando la paura non è più scatenata dalla percezione di un reale pericolo, bensì dal timore che si possano verificare situazioni, apparentemente normalissime, ma che sono vissute dal soggetto con profondo disagio. In questo senso, la paura diventa l'espressione di uno stato mentale. Ecco perchè molti pugili, con sindromi ansiose, riescono ad affrontare i propri stati mentali sul ring, luogo in cui si sentono capaci di affrontare la paura con la propria forza fisica.
Infatti essa va situata tra i meccanismi di difesa dell'individuo: rappresenta uno stimolo per attivare reazioni che servono a difenderlo dai pericoli dell'ambiente. Un cerbiatto che non avesse paura di un leone non riuscirebbe a scappare e verrebbe eliminato.
Esiste dunque una paura esistenziale, che va mantenuta e non certo curata e una paura clinica, che acquista una dimensione negativa che, invece di proteggere, rende immobili e succubi. In questo caso, per poterci adattare c'è bisogno di riattivare il nostro organismo, utilizzando al massimo le nostre possibilità. Per affrontarla e sconfiggerla, si cercherà percio'una riattivazione sul piano fisico, come se si dovesse affrontare una lotta (il ring), e anche sul piano psicologico per poter tirar fuori tutto ciò che di meglio la propria personalità può dare.
Il pugilato puo' essere interpretato e visto proprio come metafora di riattivazione fisica e psichica di fronte ai pericoli: spesso infatti, psicologicamente il desiderio inconscio maggiore è quello di venir via da "quel ring". Eppure mai si rinuncia a lottare, ad affrontare la paura. Chiunque abbia praticato questo sport e sostiene che la paura, con il tempo e l'esperienza, scompare, mente. Non va mai via quella sensazione: non va via almeno fino a quando non arriva il primo pugno, quello che ti sveglia e ti riporta alle grida del tuo maestro (o dello psicoterapeuta). E colpisci, prendi e colpisci, finchè il timore non si fa più sentire.
Non è a vincere che si pensa, ma a colpire in maniera definitiva e desiderare con tutto te stesso che il tuo avversario non si rialzi, affinchè tutto finisca. Poi finisce ed è impensabile, non ci si crede, ma finisce. E' allora che, per la prima volta, si vede chi si ha di fronte: perchè ora, quando tutto è finito, ci si ritrova dall'altra parte.
Il tuo avversario è esattamente come te, uno che ha vissuto le tue stesse sensazioni nello stesso istante in cui le hai vissute tu: ha affrontato le tue stesse paure e per questo non riesci a volergli male. E' impensabile, ma gli vuoi bene perchè era lì con te a sconfiggere la paura.
Quando si sale sul ring dunque è la vita che combatte, i colpi che si ricevono sono la forza che fa andare avanti, l'avversario è il proprio cammino, che si vinca o si perda quello che resta è un passo in più per conoscersi. In fondo affrontare la paura sul ring rende tutto più semplice: si suda, si corre, si salta, si mettono i guantoni e se ce la si fa, si è uomini vincenti. L'oscuro fascino della metafora del pugilato ha a che fare tanto con la paura e con il coraggio di affrontarla, quanto con la vittoria su di essa.
Non a caso lo chiamano la noble art. La quotidianità infatti è determinata da vittorie, sconfitte e rivincite. Bisognerebbe diffidare da chi si descrive libero dalle proprie paure: è solo chi le teme che ha il coraggio di inseguirle. E comunque sia, il momento piu' bello su quel ring che è la vita, è l'abbraccio finale tra te stesso e la paura, perchè vuol dire che ce l'hai fatta!